domenica 19 giugno 2016

Ai margini della “ragione errabonda” di Giorgio Colli

Lettura di Jean-Luc Nancy a cura di Roberto Borghesi (entrambi al centro della foto vicino al mappamondo a destra, foto scattata nella Biblioteca Gambalunga di Rimini)





Pour mes amis de Rimini.


Se “Dieu est personne” come adorare?

L’ultimo Dio


Jean luc Nancy




oui le dernier dieu est personne,                   sì l’ultimo dio è alcuna persona
c'est-à-dire aucun personnage                           ossia alcun personaggio
mais aussi bien toute personne:                        ma pur altrettanto tutto persona:

Luigi, Clemens, Jasmine ou Roberto,                 Luigi, Clemens, Jasmine o Roberto
chacun dernier dieu                                          ciascuno ultimo dio
de dernier en tant que final                              di ultimo in quanto finale
ou bien tout en haut de la liste                          oppure del tutto in cima alla lista
au sommet du panthéon,                                   alla sommità del panthéon

les deux voyez-vous car                                      le due cose vedete perché
tout en haut c'est aussi la fin                              totalmente in alto è la fine

c'est le paradoxe du sommet                               è il paradosso della sommità

ou du comble                                                     o del colmo

c'est le comble du divin                                      è il colmo del divino

le dieu trop rempli du divin                                il dio troppo pieno di divino
et qui ne le supporte plus                                   e che non lo sopporta più

le dernier dieu souffre d'être dernier                  l’ultimo dio soffre di essere ultimo
car après lui n'y en a plus                                   perché dopo di lui non ce sono più

et souffre aussi de son éclatement                      e soffre pure della propria eclatanza
de ce déchirement                                             di questo strappo
cette explosion que fait l'être divin                     questa esplosione che fa l’essere divino

chacun chacune de nous chaque instant             ciascuno ciascuna di noi in ciascun istante


pour peu qu'il se sache et se sente divin             per poco che si sappia e si senta divino


Equivalenza definitoria

Il verbo est è una “copula”? È transitivo?

le dernier dieu est personne

Si tratta di una proposizione assertoria?

Analisi del soggetto; è composto da un aggettivo e da un nome “comune”: l’ultimo + dio

“dio” è un nome che permette di essere accompagnato da un aggettivo. Dunque non si tratta di un vocabolo o nome “assoluto”; qui si tratta di “un” dio, che è definito come ultimo.

Il nome “dio” è quantificabile? Se sì, avendo ultimo come aggettivo qualificativo, ultimo indica:

Che il nome comune “dio” è qui usato per l’ultima volta; dopo di lui, non ce n'è più un altro. Questo nome comune di dio, non è un nome proprio: “dio” riceve dall’aggettivo ultimo una collocazione spaziale che definisce il nome “dio” come nome connotato di spazio e di tempo.

“l’ultimo dio”: dove si colloca essendo ultimo? Quando giunge all’ultimo? È già presente?

Già l’associazione di questi due termini è problematica; è attribuibile al nome “dio” la possibilità di caratterizzarsi come ultimo?

Ma anche; forse è dimostrabile che il nome “dio” può essere associato a qualsiasi aggettivo, in quanto esso sarebbe “neutro”?

“dio” sarebbe un nome singolare-plurale, dio/dèi, può essere declinato al plurale.

Ma nella frase “l’ultimo dio è alcuno”, si restringe la qualificazione di dio alla possibilità di essere ultimo.

Analisi: esiste un dio, e questo dio è ultimo e in quanto dio-ultimo esiste nella modalità di essere

Nessuno, di predicarsi di nessuno.

Se invertiamo i termini della proposizione abbiamo: “nessuno è l’ultimo dio”.

In francese; personne est le dernier dieu. Che porterebbe a significare che non c’è alcunché che può classificarsi come ultimo dio.

Dunque, le dernier dieu est personne è una proposizione che contiene un principio esplosivo?

Scriviamo allora le dernier dieu est personne e personne est le dernier dieu.

Sono equivalenti?

le dernier dieu est, a existance, mais pour avoir existance il faut la definire, en definire la modalité. Ici le dernier dieu a l’existance comme, en tant que, parce que il est, c’est a dire que il ya comme personne. C’est a dire, que il ni est pas, il ne peut pas se manifester si non comme non presence. Alors le dernier dieu est personne contradictoire;

le dernier dieu est; il y a quelque chose comme “le” dernier dieu; donc il est au singulier;

pourquoi ne pas ecrire au pluriel “les” derniers dieu sont

ou bien “un” certain dieu parmis l’ensemble des dieu est le dernier.

Ecrire “le” dernier dieu implique une pluralitée de dieu, mais seulement le dernier accede à l’indeterminatif,

personne des dieu faite exception du dernier est personne, seule le dernier le est.

Il y a t-il dans le nom de dieu le fait que quelque autre dieu soit personne?

L’
être personne appartient uniquement au dernier?

Ne pouvons nous ne pas dire que tout dieu est personne?

Ne pouvons nous ne pas démontrer que affirmer que le dernier dieu est personne est une proposition suivant le principe d’explosion et la consequentia mirabilis?

Si le dernier dieu est, alors il est personne, alors il n’y a pas de dernier dieu, ou bien il est autre que personne, dieu est un nom impersonel, quiconque peut prendre le nom de dieu, mais il faut que ce qui prend le nom de dieu ne soit pas impersonel. Jean luc nancy adjoint l’adjectif “dernier”, adjectif contrictoire, piusque quiconque peut prendre le nom de dieu, par exemple roberto, soyent jusque ici le dernier dieu personne ne peut alors en tant que dernier ne pas
être le dernier , donc personne peut se qualifier de dernier definitivement, il est dernier jusque à l’arrivé d’un autre dernier. Donc il n’y a pas de dernier dieu comme voulait affirmer la proposition.  [de Jean-Luc Nancy] 

À moin que “personne” ne se abinne à “rien” et alors on a: le dernier dieu est rien, ni l’un ni l’autre, neutre.
Tesi, il y a un seule dieu qui est “le” dernier et ce dieu est personne, c’est à dire que personne est “le” dernier dieu et de dieux il y en a plus d’un, et un dieu qui occupe la derniere place, place à situer, en occupant cette dernière place seurait personne, donc ne seurait pas, donc il n’y a pas de dernier dieu, puisque personne peut
être le dernier, le dernier ne peut il pas arriver, 

à moin que “dieu” soit un nom “vide”, qui ne signifie rien en soi meme, et neutre, ni etant, ni pas etant, ou soit etant et ne pas etant en meme temps. Etant celà contradictoire, tout de meme a, sans la proposition de Nancy en soutroiant au terme de “dieu”, une connotation d’existance essencielle.

L’ultimo dio implica di essere una esistenza senza essenza, impersonale,

dio può essere ultimo a condizione di esistere impersonalmemte.

Il verbo essere qui è transitivo o intransitivo?

Se poniamo l’accento sull’aggettivo dernier, il fatto che il soggetto dio sia qui connotato come ultimo fa che esso sia nessuno, che non sia qualcuno, una persona.

Se dio si presenta come ultimo, si qualifica come nessuno in senso assoluto, cioè nullo; ossia né una persona né una non persona. Allora all’ultimo dio è attribuita l’impossibilità di manifestarsi.

Non è sulla base di una possibile manifestazione che si caratterizza come dio e ultimo.

Diremo: l’ultimo dio è nullo, neutro ed è questa impossibilità di impersonarsi che lo rende ultimo. L’ultimo dio è una non-persona, per questo non ha essenza; ma ha una esistenza.

Come ciò che è in quanto non persona.

Che cosa è allora l’ultimo dio? O chi è l’ultimo dio? Jean-Luc Nancy risponde che dio è ultimo solo se è “totalmente” persona, ossia non trascendente, ma immanente.

Roberto “è” “un” ultimo dio.

Da capo:

definiamo il termine “dio”, come nome capace di cumunicare con altri termini, di “toccare”; dunque dio non è intangibile; se è tangibile, in quale modo lo è? Ontologicamente? Noematicamente; se dio è tangibile lo è in modo attivo; è dio che tocca, non è mai dio che è tangibile. Se dio non è tangibile è indimostrabile, ma essendo dio a toccare, il suo tocco non dovrà annullare la sua intangibilità ontologica, egli tocca indirettamente. Ed è questo “tra” presente nel tocco di dio che caratterizza la sua transizione. Il nome “dio” è sinonimo di transizione, è transitivo, è “trasformazione”; è questa possibilità transitiva che fa sì che nel “tra” dio si dia di volta in volta differente e determini la pluralità dell’apparenza di dio. Dio si da nel “transito”, ogni volta dando origine a una comparsa differente. Ma in questa trasferta in cui dio è attivo, la comparsa di dio è “costante”? Mentre cambia nel tocco costantemente la sua tangenza?

E questa “tra”-sformazione tangibile di dio

Il primo tema è l’analisi del “principio di contraddizione”

[analiziamo la “modalità” il “modus”]

Colli lo collega al termine verbale “toccare”.

thighein è verbo che nella sua etimologia rimanda all’uso della mano e alla “finzione”, “maniera”, tono; “façon” rimanda a “modo” modalità, maniera; “fingere”, modellare;

dunque “thinganein” può essere ben tradotto come “toccare in un certo modo”,

non esiste un toccare univoco, unico; il tocco è sempre singolare, “personale”, di volta in volta diverso.

Domanda; il tocco è necessario perché una tesi sia vera?

Tocco noetico;

facciamo l’analisi grammaticale della tesi di JL Nancy

Analisiamo la modalità dell’ “è” nella proposizione di Jean-Luc Nancy:

le dernier dieu “è” personne

la frase è costituita da un soggetto, un nome comune accompagnato da un aggettivo, da un verbo (transitivo o intransitivo?) e da un termine che definiremo come di genere “neutro”, un complemento, costituito da un vocabolo plurisignificante.

Il nome comune dieu, è qui accompagnato dall’aggettivo dernier, che definisce la modalità, la “postura”, la collocazione di dio. Affermare che qui si tratta dell’ultimo dio, definisce di quale dio si tratta; dernier, indica che la teoria delle divinità, ossia di quelle “entità” accomunate al nome “dio”, ha un termine; si dà un “dio”, come ultimo, dopo il quale l’uso del termine “dio” non ha più corso, non si pratica più per determinare una unità divina. Dunque il nome di “dio” è grammaticamente provvisorio, ossia la parola “dio” può giungere in sé al termine del percorso linguistico. Ma con l’arrivo dell’ultimo dio-quando si dà, in quale punto del tempo termina la storia di ciò che ha significato “dio”?, ossia l’ “esistenza” di presenza al di là dell’ “essere mortale”, dell’essere “qui”, tra i viventi, oltre l’immanenza?

La risposta esposta nella frase spiega l’ “è” del soggetto come un transitare nell’indefinito pronominale “personne”.

Il nome “dio” implica in sé una necessità o una contingenza?

L’accostamento dell’aggettivo dernier implica la contingenza di dio.

Se dio è contingente, allora è possibile la pluralità di dio, la compresenza di più dèi, il politeismo.

Dio ha una “durata”.

JL Nancy si pone la domanda se si possa fare a meno dell’uso della parola “dio”;
se si attribuisce a “dio” la possibiltà di “morire” (ma qual è il modus della morte di dio?), allora è ipotizzabile un'altra modalità del contatto e della relazione .
Se “dio” muore, resta un’esistenza senza necessità. La morte di dio puntualizza la negazione dell’eternità, infinità come connotazione necessaria per la sua esistenza.

Trascendenza “non implica” necessità; è una modalità ontologica ma non esistenziale.

Come si manifesta la “morte” di dio?

Nietzsche parla di verwesung, ossia di abbandono dell’essenza umana, di abbandono per passare oltre l’essere. Per la manifestazione della “corruttibilità” dell’ente Nietzsche usa il termine corruption.
In Gaia scienza §125 scrive: auch gotter verwesen, ossia: anche gli dèi “si allontanano, abbandonano l’essere, la ecceità”.
L’abbandono della ecceità, della loro presenza, fan sì che dio sia morto e che lo “rimanga”. Nietzsche nega la resurrezione di Cristo?
Sappiamo che gli dèi muoiono; ma come nascono? Nascono se non sono già da sempre.

Ripartiamo da capo nell’analisi del “poemetto” .
Tentiamo di definire il “campo semantico” del “poema”.

Le è articolo determinativo maschile, corrisponde all’articolo determinativo italiano “il”.

Dernier è un aggettivo qualificativo numerale. In quanto aggettivo, colloca il termine che qualifica in una serie numerica. C’è enumerazione. Dernier chiude una serie numerale, attribuisce al termine che accompagna un “posto”, un luogo, conclusivo di una teoria definita, non-infinita.

Ma possiamo pensare che l’aggettivo qualifichi il termine uguale a zero in questo calcolo.

Dieu è qui un nome che si qualifica come “il” e non “un”. Qui è l’aggettivo che qualifica e quantifica il termine. Il termine “dio” è all’interno di un calcolo, dio è definito dai suoi attributi.

Dio è dunque un nome in sé indefinito, e in quanto non definito può equivalere a zero, essere nullo.

L’ultimo dio si connoterebbe come il dio dello zero, in una successione numericamente decrescente che corrisponderebbe al passaggio dal politeismo, al monoteismo , all
a-theismo.

A questo punto “dio” corrisponderebbe allo zero finale, equivarrebbe ad essere un termine a casella vuota. In altri termini: l’ultimo dio sarebbe equivalente allo zero, ultima cifra scoperta nella storia della matematica, capace di occupare “qualitativamente” una posizione. Qualitativamente “dio” si connota come termine che si caratterizza per la sua contingenza e molteplicità definitoria.

Il termine “dio” in sé non significa nulla. È un termine transitivo, contenente in sé la propria affermazione quanto la propria negazione.

In il termine “dio” si pronuncia allo stesso modi sia al singolare dieu che al plurale dieux,  con un effetto di pronuncia simile alla differance di J. Derrida.

L’analisi del sintagma “l’ultimo dio” ci ha portato a definire dio come numero equivalente a zero, una cifra capace di connotarsi a una quantità multipla.

Il “dio” ultimo essendo un nome comune, rimane indefinito. Perché sia l’ultimo è necessario che si collochi in una serie che si chiude; dio è qualunque cosa possa porsi come ultima e, come abbiamo visto, come termine finale uguale a zero. Dio ultimo è dio azzerato, e in quanto zero è un nome connotabile per equivalenza che si dà nell’uso del verbo essere, in modo transitivo.

Pertanto l’ultimo dio ha esistenza impersonale, non è né uno, né alcuno. Si può connotare sia come un quantificatore contenente in sé sia lo zero, ossia l’alcuno che il qualcuno, che il molteplice.

L’ultimo dio, in quanto ultimo della serie degli dèi è a connotazione zero, ed è proprio per questa qualità che è in equivalenza con personne, ossia con alcunché che abbia personalità. L’ultimo dio è nessuno, nullo. Non ha individualità, non è individuabile.

Dunque il soggetto del sintagma è seguito dal verbo essere che si declina come esistenza senza essenza; l’ultimo dio “è” esiste ma non in modo assoluto. Il verbo essere di per sé non dice nulla rispetto alla modalità di esistenza del soggetto, soltanto che ha esistenza. Ad esso si associa e segue come complemento il pronome indefinito personne.

Questo termine ha un duplice significato; quello di genere maschile e a senso negativo, nessuno, non uno, equivalente a quantificatore “zero”, e quello di nome al femminile singolare e plurale indicante un individuo, una unità, una individualità.

Dunque l’analisi del “campo semantico” del sintagma le dernier dieu est personne, ha valore semantico negativo, nullo. Invertendo il costrutto della frase si ha:

Personne est le dernier dieu, ossia nessuno/nullo è l’ultimo dio, ossia il campo semantico del sintagma rimane a valore zero, nullo.

L’ultimo dio non ha identità alcuna. Dio qui ha valore zero e viene definito da un pronome indefinito, che annulla la sua identità.

Il fatto che l’ultimo dio sia equivalente a zero, implica la negazione di una sua identità. Ossia l’identità dell’ultimo dio è equivalente a zero. Il che equivale a dire, che l’ultimo dio è alcun personaggio. Il termine personaggio definisce
una identità fittizia, immaginaria, definitoria, e funzionale. L’ultimo dio avendo personalità zero, non può nemmeno assumere una identità fittizia, avente la funzione di riempire la vacuità dell’ultimo dio e non avendo finzione, nemmeno ha narrazione, successione storica, tempo d’estendere la sua esistenza.

Dunque l’ultimo dio azzera ogni possibilità ontica che ontologica in relazione al fatto che possa essere alcunché di altro individuale. L’ultimo dio qualificandosi come individualità equivalente a zero, esclude di equivalere a una totalità; l’ultimo dio equivale all’insieme delle persone meno la sua.

Dio equivale altrettanto bene a ogni persona nella sua totalità, nella sua singolarità, in quanto ultimo equivalente a zero, assommandosi a una persona, a ciascuna di volta in volta, equivale a ciascuno più zero uguale ciascuno, una identità, di volta in volta l’ultimo, l’ultima.

I nomi propri, qui, hanno valore esemplificativo: ciascun nome proprio rimanda a “ciascuno”, a una identità; e ciascun nome proprio è un nome proprio all’ultimo dio, che proprio in quanto innominato, indefinito, apre a “ciascun” individuo nominato la possibilità di essere il nome dell’ultimo dio, di essere ultimo dio in quanto assume un nome proprio a valenza comune; il nome Roberto qui equivale a ciascun individuo con tale nome, diremo a ciascuna “ecceità” con tale nome qualificante un’entità definita; Roberto può essere il nome di un animale o di un “entità” oggettiva; l’isola-Roberto. Ciascuno si caratterizza per essere accompagnato dall’aggettivo final, ossia estremo, terminale, ultimo, eccessivo, supremo, colmo, ultimo. Ciascun Roberto occupa il posto dell’ultimo dio, oppure quello in cima alla lista degli dèi. Dunque esiste una “lista” di dèi, che ha una sommità, una cima; questa lista corrisponde al pantheon, luogo che raccoglie tutti gli dèi.

Entrambe le specificazioni dell’ultimo dio totalmente in cima e finale, implicano che la lista di tutti gli dèi corrisponda al pantheon, al luogo dove sono raccolte tutte le divinità. L’assenza di articolo e di altre connotazione, fanno di del pantheon un pantheon equivalente a una assemblea o concilio divini. Il pantheon ha una connotazione verticistica, piramidale, come una montagna, un olimpo.

E l’ultimo dio sta alla sommità, poiché è totalmente in alto ed è alla fine di questa verticalità.

Ora se ciascuna ecceità, per usare un termine definitorio di ciascuno (qui si rimanda a Nietzsche) è al vertice, il concetto di sommità ha un valore non tanto geografico quanto ontologico.

Finora non abbiamo fatto riferimento al fatto che l’ultimo dio venga dopo che “dio è morto”.
La morte di Dio è una condizione perché ci sia l’ultimo dio? Nietzsche nella Gaia scienza §125 grida: “Non dobbiamo noi stessi diventare dèi?”. Qui si dà la tesi che ciascuna delle ecceità, il “noi” nietzscheano allude ai mortali, ovvero ciascun individuo, “deve”  (è un dovere che qui Nietzsche, l’uomo folle, indica) diventare dio. Dopo che Dio, il Dio unico è morto, si apre per ciascuna ecceità l’opportunità, la necessità di diventare dèi; gli ultimi, quelli che stanno alla sommità della lista, alla fine del tempo di Dio e del tempo degli dèi.
Questo è il “paradosso” della sommità, di essere totalmente alto, l’ultimo dio e insieme il termine degli dèi che siano altro dalla ecceità singolare, qualcuno.
È il paradosso del “colmo”, ovvero dell’eccesso, del riversarsi, dello traboccare, del dio troppo pieno di divino; essendo l’ultimo dio equivalente a zero, esso può dare origine al colmo se tutti gli dèi occupano il suo posto, l’ultimo, divenendo così uno “zero pieno”. L’ultimo dio dà l’opportunità di essere troppo pieno di divino, di eccedere nel calcolo divino, di non sopportare oltre il divino, essendo infine giunto al colmo, all’eccessività di divino, gravido. L’ultimo dio è in stato di sofferenza per essere l’ultimo, poiché dopo di lui, non ce n’è più. E se ogni ecceità è un ultimo dio, essa è sofferente, perché dopo di essa non c’è più possibilità che “nasca” un altro dio, un “dio a venire”. Con l’ultimo dio si chiude la storia del dio. Ciascun ultimo dio soffre, sopporta, tollera con dolore il suo stato. Questo dolore nasce dal fatto che con la presenza dell’ultimo dio, si conclude una storia, una “teoria” (nel senso di successione) divina.
E soffre anche del fatto che è eclatante, clamoroso – come “un raggio ad alzo zero” – ancora si può risalire a Nietzsche quando come ecceità si definisce “dinamite”, esplosivo.
Soffre di questo strappo, lacerazione che fa il divino, il suo “disastro”, “noi”, ciascuno/a ecceità in ogni istante, per poco che ci si sappia e ci senta divini.
Sentirsi e sapersi divini, equivale ad essere consapevoli del proprio stato di appartenenza al divino, dovuto al fatto che l’esplosione divina “apre” l’ecceità al frammentario e alla fragilità.
Dunque l’essere divino di una ecceità, si connota per uno stato “clamoroso”, eclatante, in ogni istante. L’ultimo dio, in quanto ecceità, è frantumato, frammentario, plurimo, plurale, “aperto”, ad una “partizione”.

Pour conclure; meme le dernier dieu étant personne, meurt déjà dans sa naissance; mais en tant que chacun, chacune ecceité individuelle fois unique est la fin du monde.
Il reste pour temps la splendeure finale à chaque instant, “pour peu”.
Le dernier dieu est donc un dieu de la pènurie, de la détresse? Peut 
être. Un temps “blaspheme”? C’est là la “souffrance” du dernier dieu? 
 [Roberto pour Jean-Luc Nancy]

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