venerdì 16 ottobre 2015

Su Emozioni in marcia

recensione di Teresa Armenti




Emozioni in marcia: Non poteva essere scelto dall’editore Alessandro Ramberti titolo migliore come “Emozioni in marcia”, per definire la forte carica emotiva che scaturisce dalle pagine dell’antologia Pubblica con noi 2015. Il bastone del pellegrino finemente decorato, in primo piano sulla copertina, con un paesaggio ondulato e irto di salite, indica la fatica letteraria dei diciannove autori selezionati da una qualificata giuria ed il percorso del lettore, che si immerge nella lettura, fa le sue soste per meditare, assaporare, contemplare, e poi riprende il cammino, districandosi tra sentieri erbosi per raggiungere, accarezzato dalla luce, l’anima appesa dentro il pensiero.

Vari sono i luoghi, le vicende e gli stati d’animo descritti. A seconda delle situazioni, la scrittura diventa ora flessibile, ora morbida e lenta; da elaborata e precisa si trasforma, inaspettatamente, in linguaggio popolare. A volte è scrittura aspra, frammentata, che si espande in schegge come in una deflagrazione di straordinaria potenza; altre volte lo stile diventa asciutto e cristallino.

La scrittrice Vesna Andrejevic, prima classificata, ci presenta gli orrori della guerra in Kosovo, dove interi paesi vengono distrutti, bimbi innocenti restano orfani e ciechi nei campi profughi allestiti su terreni inquinati dal piombo, dove si rifugiano le minoranze dei ROM e degli Ashkali.

Dal racconto dell’orrore si passa a storie di amori e di dolori, di degrado e povertà, che si alternano alle vicende bizzarre e picaresche di un chitarrista, che va alla ricerca del senso della vita, con una narrazione frizzante e delicata, che percorre con giusta misura i sentieri del sorriso e della tenerezza. Ci sono storie di famiglia e di paese, di un mondo che è il riflesso distorto di ipocrite quotidianità di superficie, con personaggi emarginati, eccentrici, sbandati, che si muovono in una varietà di paesaggi: Cina, Australia, le Dolomiti, il Mediterraneo. Ci sono anche opere filosofiche, spirituali, dense di significati e di metafore, che tengono in suspense.

Dalla narrativa si passa alla poesia con un filo conduttore, rappresentato dalle parole che hanno radici nel profondo e ali nel vento e dallo spettacolo vasto e aperto della natura, come luce di una fenditura tra mura. Sono poeti esploratori, che percepiscono il profumo della vita oltre i cancelli chiusi e il pensiero scalpita felice come un puledro in libertà e più non retrocede negli schemi della normalità. I pensieri si librano liberi e alti nel cielo con le Correnti atlantiche della poetessa Gabriella Bianchi, che fa cadere le sillabe su fogli sparsi di quaderno.

Giovanna Iorio mette il buio nei giorni, il silenzio in fondo alla voce, il tempo nei passi. I tocchi sono lievi su tasti muti; il buio intonaca i pensieri e la notte ha il suono del guscio che cade nel vuoto. L’aria profuma di castagne, il cielo è un gregge di nuvole, pastori senza voce.

Per Mario Mastrangelo, la felicità si misura in secondi, la gioia in minuti, in ore la contentezza, in giorni, mesi, anni l’attesa, il ricordo, la noia. Per il dolore né orologi, né calendari occorrono; si misura col sangue graffiato che passa e ripassa nel cuore. Il dolore, infatti, si percepisce come una condizione assoluta, che falsa la percezione del tempo, ne droga lo scorrere, e fa sembrare che si debba stare in quel modo per sempre. Interviene Il silenzio che scolpisce metafore di fuoco tra le frasi, mentre si stagliano stornelli.

Sembra di sentire il respiro di Francesco Petrarca “Solo e pensoso i più deserti campi vo misurando” nelle poesie del cantore della civiltà contadina del Sud, Vincenzo D’Alessio. Egli, stanco della sua Irpinia, che partorisce vipere al suono di campane, percorre vie antiche a dorso di mulo, mentre allunga lo sguardo, triste e sconsolato, sulle terre abbandonate, sulle case sfatte senza sottana d’intonaco, lasciate dai numerosi emigranti. Gli resta solo il ricordo delle donne del Sud vestite di nero, delle terre arate di sudore, della sua gente che riposa sotto pioppi ombrosi. Il suo spirito libero si lancia verso spazi infiniti, con una casa alta sul ciliegio, per vedere le stelle di notte, l’arcobaleno quando piove e per inseguire il suo aquilone volato troppo presto nell’azzurro cobalto. Una implorazione accorata intanto si alza verso la Madre Celeste, per aiutarlo a superare le tempeste che la sofferenza produce, per assistere l’anima confusa, che sogna tempi migliori.

E i sogni sostengono anche Iole Troccoli nel peso della quotidianità.

Il lettore, giunto alla fine del suo viaggio, lungo 382 pagine, colmo di gratitudine per le diverse sensazioni emozionali vissute, si associa alla preghiera di Vincenzo D’Alessio; è anche lui fiducioso nell’intervento di Maria Madre e Mediatrice di tutte le grazie, capace di dare sostegno alla forza imperitura della “Parola”, alla funzione della Poesia eternatrice, di foscoliana memoria.


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