I giorni e le strade di Carla De Angelis
recensione di Teresa Armenti
Profondo, essenziale,
empatico.
Fluido, sinuoso e
ritmico.
Così si presenta il
florilegio di Carla De Angelis, pubblicato da FaraEditore di Rimini nel gennaio
2014.
Con i piedi per terra
e lo sguardo rivolto al cielo, la poetessa assapora il delicato profumo di rose
mentre affronta la fatica dei giorni con coraggio, senza innalzare lamenti, ma
osservando in silenzio i gesti della gente che per strada cerca di evitare la
vista del diverso. Intanto disegna angeli per trovare quello giusto che ama la
luna e le stelle e prepara mille carezze.
C’è un intenso lavoro
interiore fatto di collera, che scava un solco nell’anima lacerata da rabbia,
inquietudini, inganni e accarezzata da sogni, attese e mormorii. I turbamenti,
a lungo trattenuti, esplodono in emozioni che si dilatano, fanno piroette, si
inabissano e, sollevandosi, affidano al vento i sospiri.
Dalle pagine fatte di
pause e di spazi bianchi si sprigiona una musica misteriosa, che fa diventare
utopia l’impossibile e culla il canto accompagnato dalle gocce che scendono
dalle nuvole. Le parole, cesellate delicatamente da un pensiero che si posa sul
vapore del fiato, sono scolpite nella quotidianità, come afferma Stefano Martello nella prefazione, e invitano a rubare all’istante il suo significato. Affiorano
i ricordi, che hanno il profumo del pane. Il buio si insinua lungo la via alberata
che si trascina in curve; per sfuggirgli la poetessa sale su una stella cadente
alla quale lega i suoi sogni. Ma la triste realtà subito le appare in tutta la
sua gravità: è una discarica, una banca, i sacchi dell’immondizia, la carretta
troppo carica inghiottita dal mare, la donna malmenata ed arsa viva, la gente
indifferente. Si rasserena quando apre la finestra e il suo sguardo si posa sul
grano, nei fili d’erba, sul gattino che sbadiglia, sul gregge che passa protetto
dal cane bianco e sulle gocce di acqua che scendono dalle foglie insieme al
sole che sorge. La Nostra racconta, con uno stile sobrio, i suoi giorni vissuti
tra l’abisso e la salita per conquistare le stelle della sera, i suoi percorsi
fatti di tornanti che rallentano il cammino, soprattutto quando il suo cuore
batte più forte e i battiti sono senza controllo. Un vuoto si impone nella
mente e si colma di paura, che viene vinta dalla percezione di un Ente che si
abbassa sulle sofferenze, diventa un dio che appare sul viale, piange e prende
sottobraccio, ma è anche un dio che ogni giorno presenta il conto. La Nostra lo
chiama Signore quando gli chiede scusa se non ha ricordo dei giorni vissuti e
quando gli domanda di concedere la gioia di fare germogliare con poca fatica il
seme da lei donato alla terra, mentre l’arcobaleno colora la tempesta.
Le poesie di Carla DeAngelis sembrano pensieri sparsi, ma c’è un filo conduttore che li unisce. È
il senso della vita che sta nell’amore.
“Solo chi sa amare fino a
dimenticare sé stesso per donarsi al fratello – affermava Papa Giovanni
Paolo II a Santiago De Compostela durante la IV Giornata Mondiale della
Gioventù – realizza a pieno la propria
vita ed esprime nel massimo grado il valore della propria vicenda terrena”.
E la De Angelis, la poetessa della Portuense, ci indica le strade dell’Amore, “mettendo in versi i propri guai migliori”,
e nel suo silenzio fa “ben più rumore di
una dorata cupola di stelle” come sosteneva Alda Merini, la poetessa dei
Navigli.
Ringrazio la poetessa Teresa Armenti che ha scritto poesia sulla lettura del mio libro.
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