domenica 17 febbraio 2013

Su Sapienziali di Gianmario Lucini

Edizioni CFR 2013

recensione di Marco Scalabrino

Tutti compresi nell’Antico Testamento, “i libri sapienziali – detti anche poetici, per la loro forma letteraria, e didattici, perché insegnano in senso generale la sapienza – sono: Proverbi, Giobbe, Qohèlet, Cantico dei Cantici, Sapienza, Siracide, e risalgono ai secoli V - I a.C.”
Ad essi ovviamente, sebbene in un ordine appena differente, si rapporta Gianmario Lucini, oltre che, vedremo, ai profeti Isaia, Geremia ed Ezechiele nonché alle Lamentazioni e ai Salmi.

Cos’è, in senso biblico, la Sapienza? cosa sono i Sapienziali? quali sono le asperità teologico-morali che scaturiscono da questa rivisitazione di quei testi, lascio alla altrui specifica competenza il compito di delucidare.
Il proposito che mi attiene riguarda un ambito più terreno e altre più concrete domande, ovvero quali sono stati, quanto alla scrittura, le formulazioni, il registro, gli esiti.
Sapienziali è il nono lavoro di poesia di Lucini.
Presentato in prima assoluta a Trapani, in forza del rapporto di stima letteraria e umana instaurato con Stefania La Via, al cui acume di attenta operatrice culturale non è sfuggita la validità del lavoro di Lucini, il volume sarà poi presentato a Sassari, Cagliari e Alghero.
Nella nota introduttiva, Lucini scrive che “il lettore si trova davanti a una poesia anche religiosa”, ma che la sua è “una raccolta anche civile”, ponendo in corsivo i due anche, quasi a volere produrre una mitigazione della portata spirituale della silloge.
Mi permetta l’illustre amico di ritenere la sua una affermazione deliberatamente provocatoria. I testi, difatti, si richiamano profondamente alle radici della cultura giudaico-cristiana e la poesia che ne discende è, al contempo, pienamente civile e pienamente religiosa e a tratti il colloquio col Trascendente si fa assai serrato.   
Sottolinea poi nella avvertenza Lucini che l’odierna stesura è maturata dalla insoddisfazione per la prima versione dell’opera dal medesimo titolo; ma, per le tante modifiche anche strutturali apportate, l’impressione piuttosto è quella di trovarsi davanti a una opera nuova.
Scontato che ogni singola parola di questo lavoro meriterebbe la nostra attenzione, meriterebbe di essere sviscerata in sé e nel rapporto con le altre del contesto in cui essa gravita, che ogni singola locuzione meriterebbe di essere ponderata a motivo della attualizzata collocazione che Lucini le conferisce, mi limiterò a proporre una essenziale selezione degli esiti che Lucini ha realizzato nell’intento di mettere in atto una sorta di veemente testimonianza della perenne attualità dei precetti in quelle scritture contenuti. Esempi – mi piace sperare – utili a stimolare l’interesse del lettore, a questi demandando la facoltà di approfondire.
Inframmetterò, al fine di avvalorare l’esposizione, quelle notazioni che, di volta in volta, dovessero risultare più idonee.
A partire da quella sul linguaggio che, come nel modello biblico, è la prosodia libera e salmodiale; un “linguaggio solenne e insieme semplice”, atto a “ricreare un ambiente di sacralità nel quale possa meglio risuonare la parola che cerca senso”.

Lucini apre con un Prologo:
Oggi … il coro del disordine / frantuma ogni umanesimo … e le parole disanimate cadono / al furore del male …
Troveremo una parola testarda … una parola d’acqua, una parola di lacrime / una parola di risa e di danza / una parola per chi nasce e una per chi muore / una parola antica e nuova da lasciare ...
La parola e il poeta: un tema, sin dal Vangelo di Giovanni: “Il Verbo si fece carne”, in apparenza abusato eppure sempreverde se chi scrive ha cosa dire e sa come scriverlo.

Nessuna parola contiene il silenzio / ma il silenzio tutte le contiene.
Giobbe è il personaggio universalmente noto per la proverbiale pazienza; il suo è il “poema grandioso dell’innocente oppresso dalla sofferenza immeritata ma che non cessa di cercare Dio”. Lucini punta la sua attenzione sul capitolo 40, versetti 4-5.
Io sono Giobbe … chiamo per nome la Giustizia ... Io sono Giobbe ... non ho più forze per rincorrerti … Io sono Giobbe … ho lottato col Silenzio / l’ho citato in giudizio.
Per tre volte parla Giobbe, [il corpo ricoperto] di pustole e piagheconfuso dal dolorela mente sconvolta dal pensiero capovolto; una sola volta parla il Silenzio, (o Dio), la Legge, il Grande Libro.
Da notare il verbo cincischiare, voce ormai desueta, nel verso: Cincischiano nell’atrio del Tempio.

Proverbi. Compongono il libro “nove collezioni di proverbi. La prima di esse è una lunga esortazione ad amare e acquisire la sapienza.” Lucini mira al capitolo 1, versetto 28.
Io sono  la Sapienza … scintilla / che graffia l’orizzonte.
Io sono  la Sapienza … parola che straripa dal suo tempo.
Io sono  la Sapienza … orecchio che ascolta / vibrare altri mondi.
Non vedo che orrori e li chiami progresso.
Non vedo che rapine e le chiami giustizia.
Il sale spezza le labbra ai miei sorrisi.
Il lavoro di Lucini è prodigo di spunti atti a favorire le nostre notazioni.
Il sale nel mondo antico era prezioso quanto o più che adesso. Salario è, tuttora, il compenso ricevuto da un lavoratore dipendente per le proprie prestazioni. L’etimologia del termine risale all’antica Roma, allorché i soldati delle legioni venivano pagati in grano, vino, olio e specialmente in sale. La sua centralità nella vita dell’uomo è testimoniata nella letteratura, nella mitologia e nelle religioni. Valga per tutti un passo del Discorso della Montagna in cui Gesù, rivolgendosi alle folle e ai discepoli, dice ”Voi siete il sale della terra” (Matteo 5,13). Ben note sono la Via Salaria, attraverso la quale questo prodotto giungeva da Roma sino alle zone più interne della penisola, e una fra tutte la magnifica città di Salisburgo, che giusto dal sale prendono il nome.
Vi fa capolino il vocabolo legulei, nell’accezione di uomini di legge pedanti e cavillosi o, peggio, al servizio dei potenti.

Qohèlet. È una “raccolta di riflessioni disincantate sull’esistenza umana in cui tutto appare vano e senza senso.” Il richiamo di Lucini è al capitolo 1, versetto 18: “Dove c’è molta sapienza c’è molta tristezza, se si aumenta la scienza si aumenta il dolore.”    
Quello che stava a destra ora sta a sinistra / il sopra cambia nel sotto ed è mutato / di segno ogni pensiero …
Capovolto nel mondo capovolto l’uomo cerca direzioni / sprofonda nello zenit, ascende nel nadir / scende salendo e avanzando si ritira …
tutto è perfido e giusto, insano e saggio.    
Quanto “vento” in questo secondo libro: l’urlo del vento, versi nel vento, giri nel vento, canto portato dal vento, vento arroventato, ogni volto si confonde nel vento;
e nel vortice che esso determina si affaccia “il peggiore dei mali”, si annida: “la terribile assenza dell’Altissimo”.
 
Cantico. La struttura a due voci che si alternano: l’amato e l’amante, il giovane e la fanciulla, lo sposo e la sposa, l’amico e l’amica, è propria del Cantico, un “idillio che sotto forma dell’amore fra due giovani suggerisce il rapporto tra Israele e il suo Dio.” Lucini si sofferma sul capitolo 2, versetto 10.
Amica, cresci un nido nel mio cuore …
Io sono desiderio ... oasi e miraggio …
ti offro il mio cielo perché tu vi possa splendere …
saranno bastioni i miei fianchi / torri d’avorio i seni.

Sapienza. Le “riflessioni sul diverso destino di chi segue la vera sapienza e chi la rifiuta” afferiscono al libro della Sapienza: “c’è un giudizio di Dio e un’altra vita che attende l’uomo.” Il capitolo 12, versetto 23, è alla ribalta.
L’asserzione: Il ghigno del boia … ha il nostro volto, i nostri occhi, ci si scaraventa addosso come un macigno ed è a dir poco agghiacciante lo scoprirsi il boia di se stessi.

Siracide. “Vera sapienza è la Tôrah, la Legge.” Due gli estratti di Lucini da Siracide: dal capitolo 4, versetto 28: “Lotta per la verità sino alla morte e il Signore Dio combatterà al tuo fianco”, e dal capitolo 7, versetto 3: “Non seminare nei solchi dell’ingiustizia perché non la raccolga per sette volte”.
Non abita più con noi la Sapienza. Coloro che ne furono i saggi, ne sono adesso i detrattori, sono invero dei folli / che confondono scienza e desiderio / in un solo conato.
Un quadro desolante che però siamo esortati a superare:
Non ti curar di loro … indossa il tuo zaino, allaccialo alla cintola / e segui l’indizio delle stelle … cammina con prudenza e non fermarti; / sta’ lontana dall’abbaglio delle fiaccole / aguzza il tuo sguardo nella notte.
Una serie di imperativi sorretta da altrettanti futuri forieri di speranza:
Sceglierò un amico silenzioso e cercheremo un tesoro incorruttibile … saremo un esercito … ci scrolleremo di dosso la cenere … non varcheremo mai più confini insanguinati.

Isaia. Il “termine profeta deriva dal greco prophētēs e significa colui che annuncia, che proclama. Nella lingua ebraica il termine, però, ha un significato più vasto e racchiude anche quello di essere chiamato”. Si è soliti distinguere i profeti in maggiori: Isaia, Geremia, Ezechiele e Daniele, e minori: Gioele, Giona, Zaccaria e altri nove.” Lucini, per le tracce che ne derivano, si rifà al capitolo 2, versetto 8, al capitolo 29, versetti 11-12 e 13-14, al capitolo 32, versetti 16-17. 
Isaia è fra le parti più estese e intense della silloge di Lucini e, altresì, fra quelle che più hanno suscitato in noi occasioni di riflessione.
Ogni giorno improvvisiamo / nelle fabbriche nelle campagne / con l’ansia schizoide della normalità … la vera / democrazia misurata a ecoballe / acquedotti funzionali, piani energetici / progressi medici e scientifici / stile di vita e biocarburanti / incapsulati nell’imminenza.
“Democrazia”, “giustizia”, “libertà” … svuotati dal loro nobile significato. L’accezione che oggi hanno assunto, per l’uso che ne fa l’uomo, sa di bestemmia, demagogia, negazione del primigenio valore.
Ci muoviamo … circospetti … abbiamo soldati bene armati … congegni elettronici dallo spazio che ci scrutano … viaggiamo blindati, scortati … spendiamo … averi per proteggere gli averi / sacrifichiamo … terra acqua aria / allo sviluppo del sistema … alimentiamo un fuoco che divora …
La nostra tecnica controlla ogni evento / prevede l’orbita degli astri la scienza, / il furore degli atomi da qui all’eternità: / abbiamo santi e poeti per vincere la morte.
Ogni cosa è intesa come fosse opera dell’uomo; tutto è ricondotto a suoi conquista e merito e non già, com’è, a superiore progetto divino. Ancora oltre la facoltà del libero arbitrio, l’uomo sembra addirittura volersi proiettare alla volta dell’onnipotenza. Ma egli può solo illudersi di potere dominare il disegno di Dio, di poterlo superare; le sue opere saranno inesorabilmente devastate.
Unicamente i miti ardiscono dire: non facciamo più armi … vogliamo il nostro tempo per capire il donde e il dove / vogliamo la dignità, non la ricchezza / non vogliamo sciupare più nulla ma prendere in prestito soltanto / chiedendo il permesso alla natura; ma la flebile eco della loro voce non valica le frontiere dell’utopia.
Voglio un poema che canti il mio inferno / dal purgatorio salga al paradiso / da questa morte mi riporti alla vita. Un evidente percorso dantesco, enfatizzato dalla reiterazione dei versi: Dove sono quelle labbra, quelle voci? / Dove guarda la luce di quegli occhi?

Geremia. Nato in un tempo senza fede né speranza, Geremia vive sul piano personale il dramma di una “parola” che deve annunciare e che non è ascoltata. Lucini punta i riflettori sul capitolo 2, versetto 18, e scrive: Sono la furente puttana del potere / che da trecento anni seduce i poveri, li rende / schiavi felici, middle class dell’orrore / pronta a sbranare per un idolo di carta.

Lamentazioni. Il nostro autore si richiama al capitolo 5, versetti 4-5. Se riuscirà a recuperare l’innocenza degli inizi, si annuncia, l’uomo potrà riaprire la rossa speranza e ritrovare la via della pace.

Ezechiele. Il linguaggio di Ezechiele è carico di immagini complesse, spesso caratterizzato da azioni simboliche, destinate a illustrarne in modo efficace il messaggio: la sacralità di Dio, il vivere accanto a Dio nella purezza e nella santità. Lucini si riallaccia al capitolo 34, versetti 3-4.  
Quando mai trovammo giustizia sulla terra? / Hai mai veduto un potente preoccuparsi per un povero? / Hai mai veduto un esercito proteggere i bambini?
I potenti sprecano i beni del mondo per gli eserciti / rubano il pane ai poveri per costruire armamenti / le loro armi uccidono ancora prima di essere usate / perché sono fatte col pane sottratto agli affamati. È tremenda e altrettanto veritiera questa ultima affermazione.   

I Salmi sono 150 preghiere in forma poetica che, pur formando un libro del tutto a parte, vengono inseriti nella Bibbia nel libro dei Sapienziali.
La notte stellata, negli occhi ti brilla la notte, e poi verrà la notte, tuo sguardo nella notte, luci della notte, la notte è una madre tenerissima, gli artigli della notte, fin che viene la notte, il respiro della notte ... il termine notte è uno fra i più diffusi della silloge.    
Dal suo ventre uscimmo perfetti … colmi di luce e stupore / ascoltavamo il silenzio dell’amore … fin quando agimmo con mitezza e con giustizia / l’astro dell’amore visitò i nostri cortili.
In origine era la perfezione, dovuta all’agire di Dio, dall’essere stati partoriti dal suo ventre, dall’accettare di essere sue creature. Successivamente l’uomo è montato in superbia e dal suo agire scriteriato è generata la sua disperazione: il nostro cantare … è un turbinio di polvere … una voragine di vento ci dorme nella bocca / e le parole vi stridono ... non più parole, ma vocali e consonanti.
Ritorna, ridotta a mero suono, a inconsulta emissione di fiato che maldestramente incespica, si sfalda, la parola. Ritorna nell’attesa del tempo in cui sarà la Giustizia e il Giudizio … [e] il mondo dormirà nell’unica / parola che tutte le contiene.
Si chiude, così, il cerchio sul tema della “parola” iniziato a pagina 13, nel Prologo.

Nel suo lungo e duro dispiegarsi, nella spasmodica ricerca del Trascendente, Sapienziali è, dunque, l’analisi della attuale nostra situazione storica in rapporto al senso della Storia e le questioni che il poeta si pone mi pare siano, in estrema sintesi: da dove siamo venuti? cosa davvero siamo? dove stiamo andando?
Nel tentativo “di riattualizzare il pensiero biblico-mitico, conferendogli la dignità di giudizio della Storia”, il libro è a mio avviso importante per l’attualità del messaggio o meglio per la particolarità della visione del Nostro.  
Sapienziali è un libro laico che parla con Dio religiosamente; un libro la cui ambizione è quella di “eliminare la cesura laico-religioso per ritrovare l’autentica capacità di dialogo con l’Essere”, un libro che dalla Bibbia, dai suoi temi e dai suoi intenti, cerca “una ragione per proporsi come poesia per l’uomo del nostro tempo”.


Nessun commento:

Posta un commento