domenica 23 maggio 2010

Antonietta Gnerre intervista Gaetano Troisi

Gaetano Troisi è nato a Tufo (Avellino) il 14 agosto 1936. Avvocato, vive a Salerno. È stato bancario a Milano e cultore di politica economica presso l’Università degli Studi di Salerno. Ha scritto: Inchiesta sul sistema bancario (1970); Il sonno delle guardie (1985); Una realtà, una lotta, una carcerazione (1985); Colpevole ad ogni costo. Il caso Carrelli (1988); Due anni all’Inps (1990); Il gioco dei giusti (1991); L’oro di Tufo (2003); Lo scandalo della giustizia. Il Diario di un giudice di Dante Troisi  cinquant’anni dopo (2005). In questa intervista con Gaetano Troisi  parliamo del suo ultimo libro e del suo infinito amore per la scrittura:

Recentemente Lei ha pubblicato con Jaca Book il libro Sotto le stelle della Galizia, sottotitolato Diario di un laico a Santiago de Compostela. Come è nato questo libro?

“È proprio il caso di dire che il libro è nato sopra la mia testa e all’insaputa di me stesso. Mi spiego… Il protagonista, colto in un momento particolare della sua vita professionale, accetta di intrupparsi in una comitiva del Club Alpino. È abituato alle escursioni in montagna, e questa volta, pur di fare qualcosa che rompa la routine divenuta quasi insopportabile, accetta la proposta senza pensarci due volte: Santiago de Compostela ha un fascino che viene da lontano e l’attrazione culturale che emana lo conquista seduta stante. Ma non sa quel che lo aspetta lungo il Camino. Il libro che ne rievoca l’avventura nasce per caso, senza volerlo; anzi per scrivere il libro il protagonista deve superare un dilemma di tipo psicologico e culturale, sulla opportunità di raccontare il viaggio compiuto; successivamente, convinto della necessità di raccontare, decide la forma del racconto, se a voce o per iscritto. Vince la scelta della scrittura, che gli è forse più congeniale. Anche ai fini di una testimonianza di vita, da rendere duratura, non solo populo coram, ma anche verso se stesso, con una specie di resoconto o bilancio del proprio vissuto”.

In questo libro, da parte del protagonista,  spicca l'interesse per le tematiche spirituali e religiose.  È stato difficile per Lei dare voce a un personaggio così complesso?

“Il personaggio è complesso, è vero: all’apparenza è semplice e candido; conoscendolo meglio,  invece, riesce problematico. E a furia di scavare dentro sé stesso, camminando fra i milioni di passi che lo hanno preceduto nei secoli o lo seguono durante la marcia lungo il Camino, scopre all’origine della sua formazione, anche civica, lo zampino della chiesa e dell’oratorio. E questo era particolarmente vero un tempo, nei paesi sperduti dell’hinterland, quando non c’erano distrazioni straripanti come nell’età contemporanea; e, allora, nel periodo fecondo dell’adolescenza, un pellegrinaggio a San Michele del Gargano, per esempio, valeva anche come esperienza culturale per chi non si sarebbe potuto permettere il lusso di andarci da solo. E se a scuola fosse stato  bravino, trovava anche interessi diversi da quelli religiosi, scoprendo in quel luogo la presenza di un certo re longobardo che aveva emanato un editto famoso o le torri ottogonali care all’architettura di Federico II”.

La cosa che più salta all'occhio nel libro è il viaggio come scoperta dell'anima.

“L’ambiente attraversato, in buona parte ancora ben conservato, favorisce il raccoglimento in se stessi se si è predisposti alla riflessione sollecitata da ciò che si vede brillare intorno o viene suggerita dall’arte e dalle opere dell’uomo. È un magma interiore che si rimescola e risveglia i propri sentimenti e i sedimenti culturali. I quali non restano, a qualunque età, come fossili, stipati più o meno ordinatamente nelle teche della memoria. Non c’è da meravigliarsi, allora, se la domanda delle domande si fa strada in maniera inesorabile: chi sono, perché vivo, da dove è spuntata la mia vita? Forse è in tutto ciò quel che lei chiama anima”.

Il personaggio è un avvocato che ha tanta voglia di staccarsi dalla routine e vivere una parentesi nuova della sua vita. Quanto somiglia a Gaetano Troisi il personaggio della storia?

“Certo, si dà il caso che il protagonista sia un avvocato, ma potrebbe essere chiunque, anche un camionista stanco del suo mestiere e bisognevole di una pausa. La condizione per il pieno appagamento è la capacità di risvegliare i sentimenti attraverso la forza della cultura o della bellezza della Natura. Il protagonista può contare su queste due leve, a patto che la cultura immagazzinata nel tempo non si riduca a nozioni ammucchiate nella mente, ma siano fonti di guida e verifica nella condotta pratica. In questo modo la cultura diventa punto di partenza per un’ascensione continua verso livelli superiori di emancipazione. E per stare all’esempio del camionista, non è necessario conoscere Pitagora per inserirsi in questo processo ascensionale: basterà che la forza del sentimento si apra gradualmente al fascino della Natura o dell’Arte o di altri valori, siano pure religiosi. La parentesi nuova è una conquista per essere diversi da come si era. Il protagonista somiglia al suo autore, ma l’assimilazione non è totale né pacifica. Ed è naturale: ogni scrittore trasferisce nei suoi personaggi, in tutto o in parte, la sua esperienza di vita”.

Il viaggio comincia a diventare qualcosa d'altro. Cosa?

“Gualtiero, il protagonista, scopre di essere un allogeno in una terra caratterizzata in prevalenza dal sentimento religioso o dalle opere che ad esso si collegano. Allora, risvegliatasi in lui la coscienza laica, scruta nella sua “diversità” e ne soffre, perché non può amalgamarsi in tutto e per tutto ai camminanti. Sono i prodromi del resoconto con se stesso sul piano della formazione religiosa, e di là dalle differenze e credenze di ciascuno. È l’incontro semplice e schietto tra uomo e uomo, e l’esaltazione dei valori dell’Umanità nel suo arduo cammino di emancipazione. Senza conoscersi, basta uno sguardo per entrare in sintonia. È una specie di regresso alla mitica età dell’oro: così l’ho sentito dentro di me, quel viaggio, rivivendo certi momenti del Camino”.

Nel libro è presente il conflitto tra fede e ragione, vissuto come un continuo scavo interiore. Giovanni Paolo II al tal proposito, nella lettera enciclica FIDES ET RATIO del 24 settembre 1998 scriveva: "La fede e la ragione sono come le due ali con la quale lo spirito umano s'innalza verso la contemplazione della verità". È d’accordo con questa definizione?

“Non si tratta di essere d’accordo o in disaccordo. È un modo di sentire che  non appartiene a tutti; importante però è che tutti abbiano la possibilità di realizzarsi nella visione del mondo che li appaga. E, quindi, importante è rispettarsi nella diversità. Personalmente faccio fatica a mettere d’accordo «fede  e ragione» : non ci riesco”.


Come ha preso forma nei suoi pensieri questo libro?

“Ho attraversato fasi in piena contraddizione: volevo e non volevo scrivere; e in questo realmente Gualtiero può identificarsi nel travaglio dell’autore. Alla fine anche la struttura ha preso forma, dando vita al libro così com’è”.

 Quali autori sono stati importanti per la sua formazione?

“I classici latini e greci. Anche lo stile, penso, ne risenta. Ogni tanto, per mio diletto, vado a rileggermi qualche autore antico. Tra i miei preferiti, Lucrezio e Orazio, e Seneca; e devo aggiungere Lisia, per il mondo greco, e Senofonte. Venendo ai tempi nostri, ho letto moltissimo durante l’adolescenza. Ho amato in particolare Il Vecchio e il mare, e ve n’è traccia abbondante nel libro. E poi, i grandi della letteratura di ogni tempo, da Dostojewski a Camus”.

Ha qualche progetto da rilevarci in anteprima?

“Di progetti ne ho; e ho pure qualche inedito nel cassetto. Ma è difficile venir fuori nel mercato di oggi. I suoi gusti non collimano del tutto con i miei, mentre gran parte degli editori ne tiene conto per ragioni evidenti. Bisogna che il numero dei lettori cresca e sappia selezionare i libri destinati a durare. Io penso di avere scritto qualcosa che va in questa direzione. Recensioni importanti lo confermano e sono incoraggiato a proseguire secondo l’identità che mi appartiene. È tanto se una casa editrice del livello di Jaca Book  ha volto l’attenzione alla mia opera e l’ha premiata in tempi piuttosto celeri”.

 Ci parli del suo amore per la scrittura?

“Nel corso della sua evoluzione l’uomo ha penato a lungo per inventare uno strumento di comunicazione del pensiero, al di là della parola. La scrittura è il più antico e, forse, ancora il più usato. Assicura una certa durata nel tempo. Un poeta diceva che la poesia vince di mille secoli il silenzio: e a me piace estendere questo effetto alla letteratura in genere, anzi a una certa letteratura, come a un mondo sublime del quale non si può fare a meno. Un mondo di libertà assoluta, nel quale chiunque può cimentarsi e dar conto del proprio passaggio. E, naturalmente, con la propria visione del mondo, con tutto quel che ne consegue (anche nel senso di impegno per concorrere al miglioramento dei rapporti sociali o per scandagliare il mistero della condizione umana). Il piacere di comunicare e trovare riscontri, con assensi o dissensi, è grandissimo. Non tutti riescono a un certo livello: è questione di doti che non si possono comprare. Per quanto mi concerne, conosco i miei limiti e mi sforzo di superarli”.

Ci sono storie più difficili da raccontare?

“Il campo è immenso. E penso alle violenze nascoste, quelle sulle quali è difficile sollevare il velo per condizionamenti che vengono da varie direzioni, specie dalle «strutture del male» delle quali parlava, se non erro, proprio Giovanni Paolo Secondo”.

Qual è la forza della sua scrittura?

“Non lo so: giudichino i lettori. Potrei però azzardare un’ipotesi: la sincerità, la chiarezza e, forse, il bisogno di testimoniare”.


GAETANO TROISI, Sotto le stelle della Galizia. Diario di un laico a Santiago de Compostela, Milano, febbraio 2010, p. 153, € 16.00.

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