giovedì 4 marzo 2010

Su Quando gli ulivi scendevano a mare di Enrico Gandolfini

Marco Serra Tarantola Editore, 2009

recensione di Vincenzo D'Alessio

Un romanzo è avvincente quando, dalla prima pagina all’ultima, ti travolge nell’incanto del mondo che l’Autore ha costruito attraverso l’uso sapiente della parola. La parola: mezzo antichissimo di seduzione per la mente dei lettori. Il romanzo Quando gli ulivi scendevano a mare di Gandolfini è proprio questo tipo di romanzo, o se preferite racconto. Una epopea di vicende, luoghi, storie, che si legano indissolubilmente al mare. Il mare è il protagonista principale. Il mare è la metafora dell’intera umanità spoglia degli orpelli sociali, integra nella sua Natura, unica nei soggetti umani che prendono forme diverse ma muovono da un’unica sostanza: l’esistenza.

Poche volte uno scrittore redige una serie di racconti, uniti dal dialogo tra i personaggi e dai lucidi tratti dei luoghi, che toccano le vicende umane di questo nostro Sud bellissimo, poco conosciuto, straziato dai politici di turno, massacrato dagli interessi privati degli speculatori edilizi, affossato dalla mano pesante della Mafia (che in ogni regione ha nomi diversi ma vicende analoghe). Solo un vero uomo del Sud poteva scrivere un romanzo tanto sincero da sembrare un romanzo storico. Non solo per le vicende reali tra Saraceni e Normanni, o le ritirate nelle gole dei poveri pescatori locali con la costruzione dei paesini, oggi abbandonati, per sfuggire alle scorrerie. Storico, essenzialmente, per tante microstorie che vedono Marina di Camerota, in provincia di Salerno, cuore del Cilento, protagonista insieme ai suoi abitanti.

Simon Bolívar, il liberatore del Venezuela, ha a Marina di Camerota la sua seconda patria: strade intitolate, monumento nella piazzetta centrale, cinema, bar, locali, tutto riconduce all’amore di queste persone, per lo più pescatori, sincero per una terra lontana, nel mare oceano, prossima al desiderio di Libertà e di riscatto che in madrepatria non si erano raccolti. L’autore non ha mai negato le sue radici, anzi le addita ai suoi discendenti. Non se ne vergogna, come hanno fatto molti integrati nel Nord delle nazioni, anzi le racconta con la consapevole forza che tutto va ricordato, anche quelle storie che altrimenti non avrebbero posto nella Storia

I racconti, contenuti nel romanzo, sono spesso in terza persona. Il protagonista, sotto nomi diversi, resta l’Autore. L’intimità delle vicende, i personaggi goffi (lo scemo del paese), le amicizie ritrovate. La descrizione affascinante del mare, protagonista ineluttabile di tutta la vita dei personaggi, tra Capo Palinuro e Sapri; la conoscenza del gergo dialettale, delle attività marinare, dell’inquieta vita dei pescatori, supporta l’intero filo rosso delle trame nello sviluppo del romanzo. Belle le descrizioni dei luoghi, come quelle dei personaggi. Più di ogni altra mi ha preso la mano la storia del coltellino e del ragazzo in fondo al mare. Conosco i luoghi chiamati per nome: il promontorio dello Zancale, lo specchio d’acqua della Cala della Fortuna, il porticciolo degli Infreschi, la Cala Bianca, la Grotta Azzurra, la baia di Lentiscelle con il cimitero nuovo e quello vecchio a ridosso del Campeggio Romano. Gli ulivi che scendevano a mare prima che fosse realizzata la strada dalla Grotta della Cala fino alla Grotta della Serratura, l’isolotto della Calanca, il porto vecchio, riprodotto dal grande poeta Alfonso Gatto nei suoi acquerelli, e quello nuovo con il suo cemento.

Insomma, la lettura del romanzo di Gandolfini, mi ha riportato a quel mare stupendo, alla sua gente vera e generosa, alle attuali condizioni poco generose per l’ambiente, alla necessità di valorizzare questi luoghi, come sogna ancora di fare Rino Scarano, investendo il proprio denaro. Ma i giovani vanno via, ancora oggi. Il turismo non può fare miracoli. L’archeologia, che è tantissima in questi luoghi, viene messa da parte. Manca la Cultura, quella vera, non interessata all’arricchimento personale ma votata al bene dei luoghi e delle persone residenti. Non si sa valorizzare il patrimonio che c’è. Anzi quello che c’era e che il Nostro autore ha bene descritto.

Si resta contaminati dal racconto che ne fa Gandolfini. Si resta intrappolati in quel suo scrivere tra veglia e sonno, in un’aura di profonda inquietudine, molto vicina al Surrealismo di Bontempelli. C’è nei personaggi una sorta di trama oscura, incerta, quasi misteriosa. Ogni fatto è avvolto nella nebbia di un passato che si sottrae al tempo dell’orologio, scandito dalle onde, per approdare in luoghi senza tempo, ma sempre molto reali, ben descritti e riconoscibili.

Una nuova prova di grande sensibilità letteraria di un vero scrittore del nostro Sud.

Marzo, 2010

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