venerdì 16 gennaio 2009

Mi chiamo Yousef. Sono di Gaza.



Sono arrivato in Italia 2 anni fa con mia moglie. Il 25 dicembre 2008 è nata mia figlia Mira. Tutta la mia famiglia, i miei parenti ed i miei amici vive ancora a Gaza.
Prima di tutto vorrei chiarire che sono contrario ad ogni attacco contro i civili: siano essi palestinesi o israeliani.

La mia famiglia, i miei parenti ed i miei amici da 20 giorni sono sotto il costante bombardamento dell’esercito israeliano e non possono scappare da nessuna parte perché la Striscia di Gaza è chiusa.



Testimonianze da Gaza
Qui di seguito ho raccolto le testimonianze dei miei familiari raccontatemi per telefono in questi 20 giorni sotto le bombe.

(Mamma):

“Non sappiamo dove andare, pregate per noi, forse vado da tuo fratello ma forse non è sicuro neanche là. Quello che so è che moriremo, forse a casa nostra forse a casa d’altri. La casa di tuo fratello è stata distrutta e adesso lui è qua, ma dobbiamo scappare...”

(Fratello): (rassicurandomi, con la paura in gola)

“Stiamo bene e non ci sentiamo in pericolo. Sto valutando la situazione perché l’esercito sta avanzando e forse scapperò da Raid (un altro fratello).”

(cognata):

“Siete veramente molto fortunati a non essere qua perché i bombardamenti non sono come una volta. Questa volta ogni bomba pesa 5 tonnellate. Che cosa succederà se cade qua vicino? La mia preoccupazione è che arrivino gli israeliani e prendano mio figlio (di 17 anni) e mio marito. Per quanto mi riguarda, preferisco che ci bombardino. Siamo terrorizzati. Hanno già ucciso tanti conoscenti e non si sa a chi toccherà adesso. La tua nipotina (di 3 anni) è impazzita: era sola nella stanza e parlava da sola, urlando “non parlate con me, sparatemi voglio morire!”

(Sorella):

“Non ti preoccupare siamo ancora vivi. Hai qualche notizia? Qua non c’è corrente e le notizie faticano ad arrivare… Ma non potete aiutarci? Perché l’Europa questa volta sembra stia dalla parte degli americani e degli israeliani? Noi non sappiamo perché sta succedendo questo. Siamo preoccupati. Hai saputo cosa è successo alla mamma e a Said, nostro nipote? Hanno bombardato il palazzo dove abitava la tua famiglia e la famiglia di Hussam (Padre di Said). Mentre stavano uscendo da casa per trasferirsi da tuo fratello Raid, nella strada è esplosa una granata, l’autista che li aspettava è rimasto ferito e per poco venivano colpiti anche loro…”

Mohammed (amico ):

“La situazione è terribile: l’esercito israeliano sta avanzando verso la mia casa ed io devo scappare con la famiglia. Gli israeliani, quando entrano in una zona, prendono gli uomini sopra 16 anni e li portano in galera in Israele o li uccidono subito. Sono entrati nella zona (Alzaitun) ed hanno preso tutti gli uomini di una famiglia consigliando loro di rifugiarsi in una casa… poi hanno bombardato la casa stessa!!!!

(Mamma): con il tono più basso rispetto all’altra telefonata precedente

“Yousef , per poco veniamo colpiti io con mio nipote. Mentre ci stavamo spostando hanno bombardato il palazzo dove abitiamo, ero con mio nipote Said sotto il palazzo per prendere il taxi, ma hanno bombardato anche nella strada e il taxista, poverino, è rimasto ferito… una scheggia della bomba è passata fra le gambe di Said (fortunatamente senza ferirlo)… Avevo molta paura, ma anche ero preoccupata per mio figlio Husam e la sua famiglia perché erano ancora tutti a casa dentro il palazzo, poi siamo scappati da mio figlio Raid (che abita a Gaza city). Ora ci siamo noi insieme a mio figlio Sami (che è venuto da Raid con sua famiglia prima di noi perché la sua casa è stata quasi distrutta). Mentre scappavamo, abbiamo visto tutta la gente nella strada che correva con i loro figli sulle spalle, alcuni sono stati colpiti da una bomba e sono finiti a pezzi. Sai, Yusef, mi sono ricordata di una scena simile: nel 1948, quando avevo 6 anni, gli israeliani ci hanno mandato via dalla nostra città natale (Almajdal, che ora si chiama Ashkelon…). Però questa volta è ancora peggio perchè nel 1948 il loro obiettivo era mandarci via, ma questa volta vogliono eliminarci!

(Sorella):

“Yousef siamo preoccupati. Abbiamo tanta paura. Hai sentito della scuola che hanno bombardato? Mamma mia, c’erano dentro le famiglie che hanno lasciato le loro case come rifugiati, sono morti tanti bambini e anche degli adulti. Non c’è più nessun posto sicuro. La Mamma, Raid, Husam, Sami e le loro famiglie forse verranno da me perché nella casa dove sono ora da 12 giorni non c’è né acqua, né corrente elettrica… almeno qui l’acqua c’è ancora…”

(Mamma): con il tono sempre più basso…

“Non ce la faccio più. Siamo qui in tanti (15) e la casa è molto piccola, manca sia la corrente elettrica che l'acqua. Dormiamo nel freddo, con le finestre aperte, perché abbiamo paura che, a causa dei bombardamenti, si spacchino i vetri delle finestre e questi possano ferire in faccia qualcuno. Per cuocere il pane dobbiamo uscire, sotto le bombe e cercare una casa dove la corrente ci sia ancora. Ma tu sei in Europa vero? Dove ci sono la democrazia e diritti umani. E cosa fanno gli europei per noi?

Con tanta vergogna ho risposto:

“Si stanno muovendo per fermare la guerra…”

e con molta speranza mia mamma ha detto:

“Speriamo bene, adesso le Nazioni Unite stanno valutando la situazione e sicuramente fermeranno questa guerra… domani”.

(Suocero):

“Ciao Yousef, ci ha chiamato l’esercito israeliano e ci ha chiesto di lasciare la casa perché vogliono bombardare la moschea e alcune case nella nostra zona… Ma il problema è che non riusciamo scappare perché stanno bombardando dappertutto, i carri armati occupano e distruggono le strade che arrivano a Gaza city”.

(Con voce piena di dolore) “Purtroppo restiamo a casa e proviamo a dormire… almeno così quando arriverà la bomba non la sentiremo… Però quello che mi sta uccidendo cento volte più della bomba è mia figlia che mi dice piangendo: “Babbo non mi viene da dormire … Ho paura …. Giuro ho paura!!”

(Mamma):

“Hai sentito le notizie? Le nazioni Unite ancora non hanno preso una decisione… l’hanno rimandata a domani. Io non capisco perché stiano tardando… noi moriamo qui…

(con la voce bassissima, disperata) “Mi sa che moriremo tutti prima che prendano questa decisione… Ho paura di morire prima di vederti ancora e di vedere tua figlia… Io non ho visto ancora le sue foto che hai mandato perché non c’è la corrente per accendere il computer…”

“Le tue sorelle hanno lasciato le loro case insieme ad altre 20000 persone a RAFAH perché­ l’esercito israeliano vuole distruggere tutte le case nella loro zona.”

(fratello):

“Noi stiamo bene (come dice sempre, anche se so che non è vero) io sto provando a comunicare con gli operatori del REC, ma non riesco a chiamarli tutti… quello che ho saputo è che la sede del Rec di Gaza è stata quasi distrutta. Invece non sappiamo niente della sede dell’asilo e della scuola perché l’esercito occupa proprio quella zona… e non sappiamo niente della sede di Jabalia… invece sappiamo che la casa del presidente del REC è stata bombardata con 3 bombe ed è stata distrutta, per fortuna lui e la famiglia non erano in casa… infine sappiamo che è morto un bambino del REC…”

(Mamma):

“Allora? Avete fatto la manifestazione? Cose vi ha detto il governo? Ho paura… hai sentito le notizie? Le Nazioni Unite hanno preso la decisione però Israele l’ha rifiutata, non vuole fermare l’offensiva e adesso, addirittura, vogliono entrare nella fase C della guerra… ho molta paura.”

Io ho risposto come uno stupido… “Dai su non ti preoccupare…”, però lei già disperata è esplosa in un pianto.

Poi ha iniziato ad urlare: “noi siamo ancora vivi, ma col rumore di ogni bomba che scende dal cielo noi moriamo cento, mille volte… meglio morire che vivere in attesa della morte… Cosa vogliono da noi? Perché non ci lasciano in pace? Perché tutto il mondo sta ancora zitto? Dov’è l’umanità?”

Poi, con la voce bassissima, mi ha detto: “Ho paura di non rivederti più… mi sei mancato tantissimo...”

Questo è un messaggio rivolto a tutte quelle persone che credono nella soluzione pacifica delle controversie internazionali. Io sono impaurito. Ogni volta che chiudo la telefonata con la mamma e i fratelli non so se potrò risentire la loro voce. Voglio vedere ancora mia mamma, la voglio abbracciare come una volta, voglio rivedere i miei fratelli, i miei nipoti e miei amici.

Fermiamo questa distruzione, questo massacro. Quello che non ci dicono i telegiornali è che la furia distruttrice dell’esercito israeliano sta colpendo in maniera indiscriminata.

Da molti mesi si preparava a questa guerra e ora Israele la sta portando a termine.

Vi giungono voci di migliaia di famiglie che stanno perdendo la casa, la maggior parte delle volte, (bontà loro) vengono avvertite in anticipo dallo stesso esercito israeliano: “Lasciate la vostra casa, sarà bombardata entro 10 minuti”.

Pezzi di vita da racimolare in fretta e poi via, verso un luogo più sicuro, un parente, un amico o una scuola dell’ONU, ma quale si può considerare oramai un luogo sicuro?

Altre volte ti dicono che se hai legami con i combattenti sei in pericolo tu e i tuoi familiari. Ma chi non ha, anche senza saperlo, un conoscente nella resistenza? Per cui si è tutti possibili bersagli, o come spesso si sente dire in Israele, i palestinesi sono tutti potenziali terroristi. Un popolo relegato ad un’umanità di seconda categoria. La pace è possibile! Sicuramente ogni colpo inferto all’avversario allontana di più questa possibilità.

L’unica soluzione è sedersi ad un tavolo e, a partire dalle risoluzioni dell’ONU, trovare un accordo che dia pari dignità alle parti. Non ci si può illudere che Israele faccia questo spontaneamente.

Le colonie in Cisgiordania si espandono ogni giorno di più così come lo strangolamento di Gaza raggiunge livelli impressionanti. Fino ad ora ci sono stati 1070 morti (tra cui 335 bambini e 100 donne) e più di 5000 feriti palestinesi (tra cui 450 gravissimi) ed il computo delle vittime civili israeliane fortunatamente è fermo a 4. Quante persone devono ancora morire? Quanto tempo si deve ancora aspettare perché la comunità internazionale se ne assuma la responsabilità? Bisogna rispondere alla domanda della gente di Gaza: “ci siete o no?”

“I palestinesi, i miei fratelli, i miei nipoti, mia mamma ed io abbiamo ancora speranza e vi preghiamo di non farcela perdere…!”

Yousef Hamdouna

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