venerdì 5 novembre 2010

Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi

Omelia del giorno 7 Novembre 2010
XXXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)

Quante volte Gesù ha dovuto con pazienza far capire agli uomini del suo tempo verità che vanno oltre questo nostro fragile mondo. E credo che succeda anche a noi di 'fare resistenza', non essendo certamente diversi dal pubblico che seguiva il Maestro. Non sempre veniva, né viene capito: incredibile! A volte era addirittura contestato, come uno che - forse diremmo anche noi - 'afferma cose dell'altro mondo!!'. Ma erano proprio 'dell’altro mondo' quelle che il Figlio di Dio non solo annunciava, ma rendeva stupenda Verità.
Una di queste 'verità dell'altro mondo' è la resurrezione, ossia la certezza che, in virtù della Sua Resurrezione, tutti a suo tempo risorgeremo. Una verità a cui forse anche noi pensiamo poco, ma che è il grande valore della vita.
Che senso avrebbe, infatti, sperimentare, nascendo, la vita, se tutto, ma proprio tutto, finisse con la nostra morte? Che senso la bontà, la gioia, le fatiche e le ansie, il nostro 'affannarci', se poi tutto si rivelasse solo una breve, molto breve, e tante volte infelice esperienza su questa terra? D'altra parte, se affrontiamo la vita, sicuri che un giorno, con la morte, non solo non finirà, ma finalmente ne conosceremo in pienezza la ragione, entrando in una vita eterna, che sarà veramente la verità del nostro 'essere venuti al mondo', non possiamo non viverla già 'qui' con consapevolezza, responsabilità e serietà.
Ma chi ci pensa? Si ha come la sensazione che si viva spesso alla giornata, come se un 'domani' non esistesse. Almeno una volta, sinceramente, ce lo siamo chiesto che sarà di noi dopo la morte? Soprattutto noi cristiani dovremmo possedere la certezza che in virtù della resurrezione di Gesù risorgeremo. Lo professiamo nel 'Credo nella resurrezione della carne e nella vita eterna'.
una verità che ha anche un riscontro 'umano' e possiamo quasi 'toccare con mano' nelle visite ai nostri morti, al Cimitero: si ha come l'impressione che i nostri defunti possano sentirci e noi dialoghiamo con loro, con sicurezza, così come ogni giorno li pensiamo, continuiamo ad amarli, come facessero ancora parte della nostra vita. Ma se non ci fosse la certezza e la verità della resurrezione, che senso avrebbe dialogare con loro? Non sono 'impressioni', 'sensazioni', 'fantasie'. É la verità: i nostri cari sono vivi.
Un altro pensiero che dovrebbe accompagnarci è: 'Come sarà trasformata questa vita, dopo la morte? Che forma prenderà?'
Sono le stesse domande che alcuni sadducei posero a Gesù.
"In quel tempo si avvicinarono a Gesù alcuni sadducei, i quali negano che vi sia la resurrezione, e posero a Gesù questa domanda: 'Maestro, Mosè ci ha prescritto: se a qualcuno muore un fratello che ha moglie, ma senza figli, suo fratello si prenda la vedova e dia una discendenza al proprio fratello. C'erano dunque sette fratelli: il primo dopo avere preso moglie morì, senza figli. Allora la prese il secondo, poi il terzo e così tutti e sette, e morirono senza lasciare figli. Da ultimo anche la donna morì. Questa donna, nella resurrezione di chi sarà moglie, poiché tutti e sette l'hanno avuta in moglie?: Gesù rispose: 1figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito, ma quelli che sono giudicati degni dell'altro mondo, non prendono moglie o marito e nemmeno possono più morire, poiché sono simili agli angeli e, essendo figli della resurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgono, lo ha indicato Mosè a proposito del roveto quando chiama il Signore Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe. Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi, perché tutti vivono in Lui" (Lc. 20, 27-38).
Il quesito posto a Gesù fila se si ragiona con il metro di questo mondo, ossia quando si inquadra la vita di un uomo come qualcosa che viene solo da questa terra e, quindi, non può avere più senso al di fuori di essa. Questo ragionare mostra tutta la 'piccolezza' del nostro pensiero, che giunge a porre dei limiti terribili alla nostra stessa vita, privandola del futuro.
Ma se così fosse che senso ha il lavoro che facciamo, la politica, la ricerca scientifica, lo sport e tutto ciò che, in sé, non può condurre alla resurrezione, ma dovrebbero essere - per chi ha fede - 'dei passi' verso il vero senso di un dono grande, immenso, che è la vita?
Se riflettiamo in profondità e se viviamo bene, questa è un forziere di doni e anche di difficoltà, ma non può certamente concludersi con la morte.
La morte, per noi cristiani, è 'un transito', un passaggio... e, perché questo 'passaggio' di chi ci lascia sia un ingresso nella felicità del Paradiso, offriamo tanta, ma tanta preghiera. Quale grande dono è la fede nella resurrezione! Abbiamo mai ringraziato il Padre per questo dono?
Penso che sia davvero necessario che tutti abbiamo consapevolezza, non solo del valore della vita, ma della sua ragione, del modo di 'usarla', come 'strumento' per la resurrezione.
Mi viene tante volte da pensare ai tanti fratelli e sorelle che, chiamati da Dio, voltano le spalle al mondo e fanno dono della vita a Lui, vivendo ora già quello che domani vivranno in pienezza. È sotto questo profilo che comprendiamo la vita di tante donne che vivono in clausura, come se il mondo non esistesse più, o di tanti preti, consacrati religiosi, suore che vivono 'fuori dal mondo', operando nel mondo, con il pensiero sempre rivolto al Cielo, così che tutto quello che fanno è davvero un 'cammino' verso Dio. Penso a tanti martiri, che erano felici dì morire 'perché vedevano i cieli aperti', come cantava S. Lorenzo, davanti a terribili supplizi - ieri ed oggi-
Fa davvero impressione come potessero considerare la loro condanna a morte come un sospirato incontro con Dio.
Ed è il pensiero che accompagna anche oggi, tempo di materialismo, tanti cristiani a vivere il grave compito della vita, come un camminare verso il Cielo. Quanti ne ho conosciuti.
D'altra parte se non ci fosse la certezza della resurrezione, che sapore avrebbe il vivere?
Occorrerebbe impostare la nostra vita come la descrive 'la lettera a Diogneto', un classico di sapienza: "I Cristiani vivono nella loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutto come cittadini, e da tutto sono distaccati come stranieri. Ogni patria straniera è la loro patria e ogni patria è straniera. Si sposano come tutti, generano figli, ma non gettano i neonati. Mettono in comune la mensa, ma non il letto. Sono nella carne, ma vivono senza la carne. Dimorano sulla terra, ma la loro cittadinanza è in cielo. Obbediscono alle leggi, ma con la loro vita superano le leggi. Sono poveri, e fanno ricchi molti; mancano di tutto e di tutto abbondano.... A dirla in breve, come è l'anima nel corpo così nel mondo sono i cristiani. L'anima abita nel corpo, ma non è del corpo. I cristiani abitano nel mondo, ma non sono del mondo. La carne odia l'anima e la combatte pur non avendo ricevuto ingiuria, perché impedisce di prendersi dei piaceri. L'anima è racchiusa nel corpo, ma essa sostiene il corpo: anche i cristiani sono nel mondo come in una prigione, ma essi sostengono il mondo. L'anima immortale abita in una dimora mortale, così anche i cristiani vivono come stranieri tra le cose che si corrompono, aspettando l'incorruttibilità nei cieli" (Lettera Diogneti, V. VI)
È una lettera scritta nel II secolo d.C. Un gioiello di sapienza, che dovrebbe essere modello per chi vuole aspirare alla resurrezione, 'sentendosi protagonisti sulla terra, ma come stranieri a questo mondo'.
Può sembrare a chi ha poca fede e vive alla giornata, un modello di vita impossibile....ma non lo era e non lo è per chi davvero in una vita di fede, opera con lo stesso Spirito.
Bisogna ritrovare il nostro 'cuore di fanciullo', come pregava Grandmaison:
"Santa Maria, Madre di Dio, conservami un cuore di fanciullo
puro e limpido come acqua di sorgente.
Ottienimi un cuore semplice
che non si ripieghi ad assaporare le proprie tristezze.
Ottienimi un cuore magnanimo facile alla compassione.
Un cuore fedele e generoso che non dimentichi alcun bene
e non serbi rancore per alcun male.
Donami un cuore dolce ed umile, che ami senza esigere di essere riamato, contento di scomparire in altri cuori, sacrificandosi davanti al tuo divin Figlio. Dammi un cuore grande ed indomabile, così che nessuna ingratitudine
lo possa chiudere e nessuna indifferenza lo possa stancare.
Dammi un cuore tormentato dalla gloria di Gesù Cristo, ferito dal Suo Amore, con una piaga che non si rimargini se non in cielo".
Antonio Riboldi – Vescovo –
Internet: www.vescovoriboldi.it
email: riboldi@tin.it

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