racconto inserito in AA.VV. Il tempo del padre a cura di A. Ramberti, FaraEditore, 2015
recensione di Vincenzo D'Alessio
Il racconto breve, inserito nell’Antologia Il tempo del padre, realizzato dal poeta Giuseppe Vetromile, ha per titolo “Casa Vivenzio (Oltre la loggia dei capperi)” (pag. 224-231). Conosco il poeta Vetromile da quarant’anni per averlo avuto come partecipante, spesso vincitore, del Premio Nazionale Biennale di Poesia “Città di Solofra” (1976-2006). La sua vena poetica profonda, tagliente, ricercata, ha influenzato non poco gli autori italiani contemporanei.
Lo indica testualmente la poeta Anna Ruotolo nell’introduzione ad una raccolta poetica: «Quando dico di pezzetti di storia intendo e cito alcuni poeti “maturi” che hanno tenuto vivo un filo particolare e autentico di collegamento con la parola poetica. (…) Citando senza potere comprendere tutti, potrei parlare dell’ottimo Gianni Rescigno o di Pasquale Maffeo, Giuseppe Centore, Ugo Piscopo, Antonio Spagnuolo, Vanna Corvese, Ciro Vitiello, Giuseppina Luongo Bartolini, Giuseppe Vetromile, Raffaele Urraro… quella generazione perduta tra un classico e un moderno velocissimo ma che, per colei che scrive, ha rappresentato il primissimo approccio alla poesia contemporanea veramente umana, solida, colloquiante.»
Detto questo sappiamo di avere a che fare con una scrittura avvezza alla sostanza della parola, al valore sublime dell’atemporalità, al fuoco intenso del pensiero. Il titolo del racconto breve che Vetromile ha scelto per questa kermesse è da considerarsi enigmatico: “casa”: etimologicamente indica al lettore il pater munus, cioè il ruolo che il padre svolge nella famiglia e nel tempo famigliare, viene trasmesso in eredità agli eredi; “ vivenzio”: all’apparenza sembrerebbe un cognome e invece indica il vissuto tra le pareti domestiche.
Il sottotitolo “Oltre la loggia dei capperi” è il verde della conoscenza e della memoria: nella scelta di quei boccioli di colore verde intenso colti dai cespugli della pianta sempreverde e conservati spesso sotto sale o in salamoia si costituisce l’amaro dei ricordi sempre vivi nella mente del Narratore. La loggia, nel senso architettonico, un balcone prospiciente ad un giardino, indica il luogo da dove: “Il resto del mondo era parzialmente visibile quando riuscivo ad affacciarmi a quella finestra enorme, altissima, alzandomi sulla punta dei piedi per meglio appoggiarmi sul largo davanzale di pietra grigia” (pag. 224).
Questo periodo è l’attacco immediato del racconto che trasporta il lettore in un vortice temporale dove la figura del bambino, Narratore, passa in rassegna i personaggi di quel contesto famigliare dove regnava la singolarità degli uomini e degli oggetti. Il ritorno tra le mura di quella villa, nella realtà (o nella mente di chi scrive), sprigiona la catarsi del divenire, il soliloquio con il Tempo avaro di attimi, incapace di fermarsi, se non di fronte alla salinità amara della memoria che trattiene il frutto verde della poca gioia: “Mi ritrovavo sovente dall’altra parte del mondo, mentre sorvolavo le città e i posti che avevo preso dall’atlante, ben fissati nella mia mente bramosa di conoscenza. Il tutto in un grigio, impalpabile ed infinito silenzio” (pag. 225). Il grigio, come colore della vecchiaia, irrompe sovente nel racconto.
La sete di conoscenza, che accompagna i bambini dall’infanzia fino all’adolescenza, non dovrebbe mai fermarsi: “Quello che mi interessava veramente era cosa ci fosse ancora oltre; il laggiù del laggiù; il dopo del cancello e della via, l’aldilà di quelle montagne” (pag. 225). Nel Nostro questa ricerca non si è completata e suppongo durerà fino alla fine dei giorni: “(…) il mondo è sempre mondo finché lo si vede, lo si tocca, lo si sente… A me è sempre mancata la terza possibilità: a un non udente non è dato sapere cosa sia il rumore, o una melodia di Chopin suonata al pianoforte della zia…” (pag. 230).
Il racconto breve, inserito nell’Antologia Il tempo del padre, realizzato dal poeta Giuseppe Vetromile, ha per titolo “Casa Vivenzio (Oltre la loggia dei capperi)” (pag. 224-231). Conosco il poeta Vetromile da quarant’anni per averlo avuto come partecipante, spesso vincitore, del Premio Nazionale Biennale di Poesia “Città di Solofra” (1976-2006). La sua vena poetica profonda, tagliente, ricercata, ha influenzato non poco gli autori italiani contemporanei.
Lo indica testualmente la poeta Anna Ruotolo nell’introduzione ad una raccolta poetica: «Quando dico di pezzetti di storia intendo e cito alcuni poeti “maturi” che hanno tenuto vivo un filo particolare e autentico di collegamento con la parola poetica. (…) Citando senza potere comprendere tutti, potrei parlare dell’ottimo Gianni Rescigno o di Pasquale Maffeo, Giuseppe Centore, Ugo Piscopo, Antonio Spagnuolo, Vanna Corvese, Ciro Vitiello, Giuseppina Luongo Bartolini, Giuseppe Vetromile, Raffaele Urraro… quella generazione perduta tra un classico e un moderno velocissimo ma che, per colei che scrive, ha rappresentato il primissimo approccio alla poesia contemporanea veramente umana, solida, colloquiante.»
Detto questo sappiamo di avere a che fare con una scrittura avvezza alla sostanza della parola, al valore sublime dell’atemporalità, al fuoco intenso del pensiero. Il titolo del racconto breve che Vetromile ha scelto per questa kermesse è da considerarsi enigmatico: “casa”: etimologicamente indica al lettore il pater munus, cioè il ruolo che il padre svolge nella famiglia e nel tempo famigliare, viene trasmesso in eredità agli eredi; “ vivenzio”: all’apparenza sembrerebbe un cognome e invece indica il vissuto tra le pareti domestiche.
Il sottotitolo “Oltre la loggia dei capperi” è il verde della conoscenza e della memoria: nella scelta di quei boccioli di colore verde intenso colti dai cespugli della pianta sempreverde e conservati spesso sotto sale o in salamoia si costituisce l’amaro dei ricordi sempre vivi nella mente del Narratore. La loggia, nel senso architettonico, un balcone prospiciente ad un giardino, indica il luogo da dove: “Il resto del mondo era parzialmente visibile quando riuscivo ad affacciarmi a quella finestra enorme, altissima, alzandomi sulla punta dei piedi per meglio appoggiarmi sul largo davanzale di pietra grigia” (pag. 224).
Questo periodo è l’attacco immediato del racconto che trasporta il lettore in un vortice temporale dove la figura del bambino, Narratore, passa in rassegna i personaggi di quel contesto famigliare dove regnava la singolarità degli uomini e degli oggetti. Il ritorno tra le mura di quella villa, nella realtà (o nella mente di chi scrive), sprigiona la catarsi del divenire, il soliloquio con il Tempo avaro di attimi, incapace di fermarsi, se non di fronte alla salinità amara della memoria che trattiene il frutto verde della poca gioia: “Mi ritrovavo sovente dall’altra parte del mondo, mentre sorvolavo le città e i posti che avevo preso dall’atlante, ben fissati nella mia mente bramosa di conoscenza. Il tutto in un grigio, impalpabile ed infinito silenzio” (pag. 225). Il grigio, come colore della vecchiaia, irrompe sovente nel racconto.
La sete di conoscenza, che accompagna i bambini dall’infanzia fino all’adolescenza, non dovrebbe mai fermarsi: “Quello che mi interessava veramente era cosa ci fosse ancora oltre; il laggiù del laggiù; il dopo del cancello e della via, l’aldilà di quelle montagne” (pag. 225). Nel Nostro questa ricerca non si è completata e suppongo durerà fino alla fine dei giorni: “(…) il mondo è sempre mondo finché lo si vede, lo si tocca, lo si sente… A me è sempre mancata la terza possibilità: a un non udente non è dato sapere cosa sia il rumore, o una melodia di Chopin suonata al pianoforte della zia…” (pag. 230).
Il racconto è un diverticolo di ricordi, di profumi, di note soffuse nell’aria, di fortune e sfortune, racchiusi in un’atmosfera sottovuoto che non riesce a sapere di vecchiaia perché si rinnova nel verde esistenziale dell’Autore, proprio nelle mani che descrivono uomini e oggetti, momenti, e la stessa insaziabile morte che porta alle lacrime, sconfitta però dal sale della Vita che Giuseppe Vetromile ha sparso oltre la soglia del giardino della memoria.
Montoro, 20 dicembre 2015
Sono molto grato a Vincenzo D'Alessio per avermi donato questa bellissima riscrittura critica del mio racconto apparso sul recente volume antologico "Il tempo del padre", curato da Alessandro Ramberti con la professionalità e la competenza che lo contraddistingue sempre.
RispondiEliminaLa nota di Vincenzo D'Alessio entra nel cuore del mio racconto, svelandone aspetti anche non immediatamente evidenti.
Un grazie di cuore all'amico poeta, scrittore e critico, e alla Redazione tutta di "Narrabilando".
Giuseppe Vetromile